Il monte Kyaiktiyo è il luogo dove sorge la famosa Golden Rock: una roccia leggendaria alta più di 7 metri e con una circonferenza di 15 metri, appoggiata in “equilibrio inspiegabile” sulla sommità di un masso di granito e per questo venerata dai buddisti che ne attribuiscono l’equilibrio a un capello di Buddha.

Per questa gita ci siamo preparati: già solo capire bene il nome è un’impresa, dato che è scritto in modo diverso su varie fonti. Prendiamo un taxi per la stazione del bus e ci ritroviamo in un ingorgo peggiorato dallo stile di guida locale. Vediamo una scritta su una macchina che all’inizio non capiamo, ma che poi diventa chiarissima: “Lane driving is safe driving”. Il fatto è che molti, incluso il proprietario della scritta, passano contromano per superare la coda e spesso non riescono a rientrare.

Alla stazione dei bus il tassista ci fa da tramite per trovare l’autobus giusto. Qualche dubbio ci resta fino alla fine, anche perché il biglietto è scritto nei loro caratteri.

L’autobus “di lusso” dovrebbe avere l’aria condizionata ma dura poco, comunque ci posizionano nei posti “migliori” (davanti).

Attraversiamo chilometri di campi piatti in parte incolti in parte coltivati prevalentemente a risaia. Rare capanne di giunchi con tetto a pagoda, contadini con aratri trainati da buoi, ogni tanto un piccolo villaggio di palafitte con qualche negozietto. Alle fermate le venditrici, con merce in equilibrio sulla testa, vendono tuberi, cocomero, pollo, frutta…

Dopo quattro ore arriviamo al campo base, dove andiamo a prendere il “camion”: mezz’ora di strada in ripida salita e curve, stipati come bestie (per fortuna il mezzo è scoperto). Arriviamo al capolinea, che scopriamo essere più a valle del previsto. I portatori di bagagli e di persone ci offrono i loro servizi, ma noi rifiutiamo e affrontiamo stoicamente la salita sotto al sole delle due.

Dopo un’ora di sudata, arriviamo zuppi all’hotel. Stavolta è una bella sorpresa e vale i 100 $ spesi. Forse è l’unico albergo “occidentale” e l’agenzia governativa non ha neanche preso in considerazione qualsiasi altra sistemazione.

Dopo esserci rinfrescati e rifocillati usciamo verso il santuario.

Purtroppo anche qui niente scarpe né calzini.

È pieno di gente locale, solo qualche raro turista occidentale. Ci guardano, ci fanno le foto, i bambini curiosi ci salutano in inglese.

Molti sono accampati sulle terrazze di accesso alla roccia sacra: hanno coperte, cibo, stuoie, forse intendono passarci la notte.

Ammiriamo la famosa Golden Rock; anche qui sembra un po’ un luna park, con i pupazzi colorati addossati ai tempietti, i bambini che giocano, chi mangia, chi prega, chi dorme. Vediamo gli uomini mettere foglie d’oro sulla roccia (le donne non possono) e facciamo foto diurne e serali.

Appena il sole inizia a scendere cala anche il freddo (siamo a oltre 1000 m). Andiamo via perché, pur avendo le felpe, i piedi scalzi non aiutano; molta gente però continua ad arrivare, presumibilmente per godersi lo spettacolo notturno. Cena al ristorante finalmente vero dell’hotel.

Il giorno successivo sveglia abbastanza presto a causa del trambusto in strada: gente che passa, venditori che strombazzano.

Ci immergiamo in un ultimo bagno di folla, sempre più numerosa, e scattiamo le ultime foto.

Poi ci riavviamo al truck per il viaggio di ritorno, e scopriamo che, in effetti, arriva fino in cima. Il giorno precedente probabilmente ci hanno costretto a scendere prima per aiutare la mafia dei portantini.

Risaliamo sul carro bestiame; due ragazze locali davanti a noi, incuranti di buche e ressa, non esitano a comprare cocomero e altre cose unte dai venditori ambulanti.

Al campo base ci mettiamo in attesa del bus tra i soliti sguardi curiosi dei bambini. Il bus passa con mezz’ora di ritardo ed è un vero catorcio. Quattro ore di viaggio senza aria condizionata e con i finestrini aperti che fanno sbattere le tende umide sulla nostra faccia. La TV trasmette canzoni d’amore con protagonisti sempre ossigenati e traduzioni in lingua di vecchi successi americani.

Arriviamo stravolti all’ultimo hotel; solita lotta per fargli trovare la nostra prenotazione ma alla fine ci danno una bella stanza, la più costosa del viaggio: 110 $.

Ci tuffiamo nella doccia e poi ceniamo con un bel piatto di noodles prima di andare a letto presto. Domani si torna a Roma.

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