Yangon, nota un tempo anche come Rangoon, è la più grande città del Myanmar (ex Birmania). Arriviamo il primo pomeriggio dal Vietnam, la giornata ci accoglie con un bellissimo sole.

Andiamo in hotel, pagato in anticipo mesi prima e non c’è la stanza! Si scusano (non parlano inglese), ci promettono di darcela il giorno dopo e dopo averci proposto un bugigattolo di ripiego, da noi rifiutato, ci accompagnano in un altro hotel più centrale ma terribile.

È gestito da cinesi ed è per cinesi. L’impressione è di un palazzo occupato abusivamente. Ci portano in quella che presumiamo essere la loro stanza migliore all’ultimo piano e con la finestra, passando per zone paragonabili a magazzini, con roba di ogni genere ammucchiata contro le pareti e soffitti da rifare. La stanza è pulita, la doccia è calda, le bibite sono gratis. Ci accontentiamo (è ormai sera). Purtroppo non dormiamo molto a causa di una discoteca attiva fino alla mattina.

Il giorno successivo, dopo una colazione cinese terribile, ci spostiamo nel nostro hotel, poi prendiamo un taxi e andiamo in centro dove puntiamo all’agenzia governativa per sistemare la prenotazione della gita a Monte Kyatkiyo (impossibile da fare in remoto).

Ci immergiamo nella quotidianità locale e assorbiamo questo mondo veramente fantastico.

All’agenzia ci sfilano 100 $ (cifra fuori dal mondo per questa economia) per una notte nell’ultima stanza disponibile dell’hotel sulla vetta del Kyatkiyo; in compenso, ci danno supporto per prenotare l’autobus diretto per andarci.

Usciamo dall’agenzia nella calura resa sopportabile dall’ombra e facciamo un giro del quartiere vecchio con imponenti palazzi coloniali in rovina. Solo pochissimi sono mantenuti, la maggior parte è letteralmente lasciata alle ortiche. Il fiume al bordo del quartiere è del tutto invisibile, coperto dalle enormi strutture del porto.

All’ora di pranzo constatiamo la difficoltà a trovare posti decenti dove mangiare, nonostante il bellissimo mercato. Ormai dopo quasi un mese cominciamo a risentire della “dieta locale”.

Dopo pranzo usciamo per un altro giro a piedi e andiamo a visitare la famosa Shwedagon Pagoda. Prima passiamo per le strade del centro con un bellissimo mercato dei libri.


Il giorno successivo, usciamo e ci facciamo portare alla Botataung Pagoda.

Questa pagoda ha di particolare il fatto di essere cava, con l’interno suddiviso a spicchi foderati in oro: da uno degli spicchi è visibile il reliquiario conservato al centro.

Tutto intorno ci sono vari locali di culto, alcuni particolarmente strani, tra cui una specie di teatrino con un “Buddha fluttuante” su onde rudimentali simulate da rulli cigolanti.

Ci dirigiamo poi verso il centro, alla ricerca di una banca per il cambio. Entriamo in una filiale locale dell’Oriental Bank , uno stanzone basso con mattonelle bianche alle pareti, banconi vetusti in legno, tante impiegate in divisa in piena attività, un paio di uomini (supponiamo capoufficio) meno attivi, un sacco di gente locale (supponiamo clienti) che maneggia pacchi di soldi (letteralmente). Tra avvisi indecifrabili sulle pareti, moduli altrettanto indecifrabili da compilare e poche tracce di tecnologia (i terminali sembrano quasi fuori luogo) capiamo che non è una banca per turisti, ma ci cambiano lo stesso i soldi.

Dopo pranzo ci facciamo portare al lago Kandawgyl famoso per il panorama sulla Shwedagon pagoda e per la riproduzione (in cemento, ora è un ristorante di lusso) della barca reale.

Il posto è piacevole, una passerella in legno costeggia il lago all’interno del parco. Ci sono pescatori, coppiette locali che si scambiano tenerezze  (cosa assai rara da vedere) e qualche turista.

Aspettiamo il tramonto per vedere la pagoda illuminata riflessa sul lago. Nel frattempo arriva un pullman di turisti, il primo che vediamo in Myanmar, probabilmente indiani. Ci sono un gruppo di ragazzi locali che suonano e cantano canzoni melodiche, orecchiabili.

I chioschi si preparano per la cena, tutta l’area è accessibile per i turisti solo a pagamento (come tutto qui a Yangon, un po’ eccessivo), facciamo altre foto al tramonto e notturne.

Due ragazzi locali ci chiedono di fare una foto e solo dopo un po’ capiamo che vogliono farla con noi: li accontentiamo senza problemi.